Come declamavo in un recente post su IG, sono sempre stata una plotter per necessità più che per scelta. Perché mi son resa conto negli anni che le storie scritte in preda all’ispirazione si perdevano sempre dopo pochi capitoli e non arrivavano mai al termine.

Sono riuscita a finire solo le storie di cui avevo fatto una scaletta prima di mettermici su e l’avevo seguita più o meno fino alla fine, con le modifiche apportate strada facendo mentre la stesura procedeva.

Ma se questo non fosse plotting, come piace pensare a me?

Non mi sono mai fatta questa domanda, perché ho bisogno di una trama per riuscire a scrivere e andare da qualche parte e scrivere senza aver plottato mi fa scivolare in stati di ansia pietrificanti.

Però poi, arriva lei, tutta carina e coccolosa, con questo video che mi fa guardare sotto una nuova luce tutto quello che sapevo di me:

Il suo primo video riguardo ai tipi di scrittorǝ risalge a quasi due anni fa e lo avevo dimenticato, diciamocelo, e con esso avevo dimenticato eventuali dubbi sul mio incasellamento nello spettro dei tipi di scrittorǝ che lei definisce.

Così, quando YT mi ha notificato questo video, ho iniziato a guardarlo con uno strano presentimento.

E quanto più sono andata avanti più mi sono ritrovata nel metodo che descrive per il Methodological Pantser.

1. Ho bisogno di definire la mia idea prima di iniziare a scrivere

Questo è stato il punto che mi ha sempre fatto dire: nah, non posso essere altro che plotter.

Da adolescente, mi lanciavo sempre sulle nuove idee che mi passavano per la testa e procedevo a scrivere finché non mi arenavo nella mancanza di una meta. Ogni tanto avevo idee per la parte finale della storia, scene epiche e strappalacrime, ma non sapevo come arrivarci e quindi mollavo tutto lì.

Quando ho ripreso a scrivere con più criterio, plottare mi è sembrata una scelta obbligata e nella mia bolla ho creduto che questo corrispondesse al termine “plotter” quando l’ho incontrato durante i miei approfondimenti sulla scrittura creativa.

Però, allo stesso tempo, ho visto altra gente che si definiva plotter e il lavoro di prescrittura che faceva era molto, ma molto più complesso e completo del mio. Anzi, io sono andata spesso molto più all’avventura nelle mie prime bozze, ma senza sentirmi per questo una pantser (dopotutto non andavo avanti alla cieca, no…?).

2. Tendo a bloccarmi durante la prima bozza

A spingermi sempre più tra le braccia del plotting è stato un grosso problema che ho iniziato a notare storia dopo storia: iniziavo a scrivere, avevo una trama e una direzione, ma durante la stesura arrivava sempre un punto intorno a metà in cui mi bloccavo. E mi blocco tutt’ora.

Perché cambiano cose mentre scrivo, i personaggi si dicono cose che io non potevo immaginare prima e la trama che ho preparato non è più in linea con gli sviluppi della storia, né riesco ad aggiornarla man mano che scrivo, perché richiede un tipo di ragionamento diverso rispetto a quello necessario durante la stesura.

Ovviamente la conclusione naturale è che ho bisogno di più plotting, ma allo stesso tempo quando mi è capitato di plottare molto, aggiornare la trama mentre scrivevo e così via, non ho ottenuto buoni risultati (la storia era conclusa sì, ma scarnissima – per esempio IDDPA), oppure mi è passata la voglia di scrivere.

A guardare ora questo trend vedo il problema nell’incasellarmi come plotter.

3. Vorrei editare quel che ho scritto per riuscire a sbloccarmi (ma spesso non lo faccio)

Un’altra conseguenza di questi blocchi durante la prima bozza è che ho voglia di editare, perché so cosa devo sistemare già e ho bisogno di vedere cosa mi sono lasciata dietro per capire come andare avanti.

Solo che partecipare al NaNo mi ha insegnato che fermarsi a editare non va bene, che devo scrivere fino alla fine e poi tornare indietro a editare (dopo aver lasciato il testo a riposare, ovviamente). E quindi io mi sono sempre applicata diligentemente a questo processo, nella speranza che funzionasse.

Ma, inutile girarci intorno, non funza.

Perché io sono molto critica con la mia storia senza doverci prendere le distanze (semmai le distanze mi fanno notare meglio le cose che funzionano o mi danno lo spazio per trovare soluzioni).

Perché scrivere il resto della storia sapendo che si basa su fondamenta traballanti non mi invoglia a procedere.

Perché è tutto un domino, non posso continuare come se nulla fosse sulla strada tracciata anche se so che non è giusta.

Già col progetto Ithilien mi ero fermata a qualche scena dalla fine perché mi son resa conto che dovevo sistemare quel che avevo già per arrivare alla conclusione che merita, ma con SM sto prendendo il processo di editing a prima bozza incompleta molto più sul serio e senza sentire di avere una tela di Penelope.

4. Mi è molto utile ricreare una scaletta prima di editare

Quando ho sentito questo consiglio nel video, mi sono riconosciuta molto perché per me uno step fondamentale della revisione di una storia lunga è proprio fare la scaletta di quel che succede.

E poi fare le prime correzioni là sopra.

A volte le faccio nello stesso momento in cui scrivo la scaletta e poi uso la scaletta per guidarmi durante la riscrittura, soprattutto mentre muovo i primi passi.

Esempio di scaletta da revisione per Caccia Grossa nell’Est, da Evernote. Divido per capitoli, poi per scene, infine evidenzio il pov e riassumo i punti salienti della scena ed eventuali dettagli che saltano all’occhio/sono importanti. In rosso le parti esistenti da rimuovere, in blu la roba da aggiungere.
Questa invece è la scaletta che ho fatto per revisionare Il portale, e che aveva principalmente una necessità: inserire i Berretti Rossi nella trama. È molto sintetica e alla fine mi è servita per iniziare a capire le potenzialità di questa aggiunta, poi molto è emerso mentre scrivevo. Qui in rosso sono le aggiunte sui BR (ha senso, no? LOL), l’unica nota blu è di struttura e le quadre in genere sono mie note.

Tra l’altro, lavorare su scaletta prima di mettermi a riscrivere da zero (un classico da pantser, ma ovviamente non è un indizio per me!) è una delle parti che mi piacciono di più, è un processo divertente come fare un puzzle. Non mancano i momenti di frustrazione quando non ho chiaro come tirare le fila (un altro classico, mio però), ma alla fine è una fase… interessante. E fondamentale per me.

5. Mi piacciono molto tutti i vari schemi di plotting ma riesco ad applicarli davvero solo in revisione, nel plottaggio tendono a… inibirmi

Dopo il primo manuale di scrittura (Writing Fiction for Dummies, mi pare), ho iniziato a collezionare manuali di scrittura con cui affiancare video e articoli a riguardo che consumo un po’ come comfort food.

C’è sempre qualcosa da imparare, c’è sempre un momento di a-ah! quando un’idea, una tecnica, un suggerimento mi parla personalmente o fa andare al suo posto qualcosa nella mia testa.

Ma essendo io una che si attacca alle regole come a un salvagente, spesso cerco di utilizzare le strutture che scopro nei manuali per plottare meglio, sempre nella falsa speranza di riuscire a scrivere la prima bozza senza l’urgenza di fermarmi a editare e/o senza arrivare alla fine sapendo di dover riscrivere tutto.

Se applico bene i beats di Save the Cat la storia funzionerà alla perfezione e non dovrò star lì a scervellarmi per riscriverla correttamente, no?

NO.

Quando utilizzo come si deve le strutture, qualsiasi struttura, mi inibisco. Non mi permetto di seguire il flusso della storia e costringo i personaggi in forme che non si adattano a loro. E quindi è un disastro.

Il ragionamento fallace di fondo è che se con le oneshot e i racconti riesco a fare un lavoro pulito, perché non dovrei riuscire anche con le storie più lunghe? Sempre storie sono!

Ma certo, come spaghetti e penne, sempre pasta sono!

C’è un momento in cui le strutture mi aiutano ed è in revisione. Soprattutto quando mi incaglio.

Ricordo con Caccia Grossa nell’Est, mentre lavoravo agli ultimi capitoli e lottavo perché non venivano bene, che continuavo a pensare alla parola “denouement“, perché era quel che avevo davanti: il climax e lo svolgimento. Ma mi focalizzavo tanto sul climax e non avevo quasi svolgimento, e di sicuro non era lo svolgimento giusto (senza contare che stavo cercando di nuovo di forzare i personaggi).

Alla fine, lo svolgimento è stata proprio la parte più divertente per me da scrivere, ho potuto tirare le fila e lasciare briciole di pane verso le storie successive. Magari la storia non è perfetta pov strutturale, ma secondo me ora funziona e guardandola col senno di poi ha naturalmente tutti i plot point necessari, perché tendo a seguirli per non annoiare me per prima mentre scrivo.

In conclusione

Definirmi è sempre difficile, ma in questi suggerimenti per il Methodological Pantser mi ci sono molto ritrovata. E ne avevo bisogno, visto che con SM mi sto comportando proprio come descrive il video.

Poi ogni storia richiede un processo diverso, ma se guardo i miei vecchi NaNo, sembrano la prova provata che forse non sono così fuori strada.

Mi sono bloccata a nemmeno metà di Merci Sospette dall’Est nel 2015 (e non solo per la depressione che mi ha travolta, non avevo la più pallida idea di come concludere la storia per la protagonista e ogni volta che ho riprovato a scriverla l’ho fatto senza leggere quel che avevo già).

Mi sono bloccata nei primi atti di Rùnya nel 2016 (e ho tentato di revisionare a più riprese, ma senza rileggere quel che avevo scritto, prendendola più come una nuova prima bozza che una revisione).

Con Rising nel 2018 non ho plottato abbastanza, ho scritto, ho ripreso a plottare come se partissi da zero e ho perso la voglia di lavorarci (forse non ero così fuori strada).

Un pattern che noto di certo da queste “disavventure” è, che ogni volta che mi sono bloccata, ho fatto finta che le parole già scritte non esistessero. Invece di riguardarle e capire perché mi ero bloccata, ho continuato a metterle via, considerarle spazzatura e provare a ripartire dalle fondamenta.

Ora mi vien proprio da dire che avrei dovuto rileggere. Avrei dovuto fare il riassunto di quel che avevo scritto e provare a capire che cosa non andava bene, e cosa invece andava bene. Lavorare con quello che avevo, non con l’ideale irraggiungibile nella mia testa.

Avevo scritto tante parole. Parole che mi stavano dicendo qualcosa.

Non so bene cosa, ma credo che all’epoca immaginavo che fossero lì a dirmi una sola cosa:

non sai scrivere.

È difficile definirmi, sì, e forse lo è tanto perché voglio entrare in una casella e ignoro quella di fianco che è più adatta a me.